In questi giorni mi trovo sul Lago di Garda. Non in vacanza, cosa credi, per lavoro.
Sto svolgendo formazione presso un’azienda in provincia di Brescia e ho preferito prendere l’albergo nella splendida Sirmione, anche se un po’ distante, così da godermi questo inizio giugno in riva al lago, tra comitive di tedeschi e olandesi.
Ho scelto un piccolo albergo nel centro, invece di un hotel business… così da sentirmi almeno in parte un vacanziere.
Al mio arrivo sono stato accolto in modo molto amichevole, direi famigliare, come in fondo ci si aspetta da un alberghetto di questo tipo. Ma non tutto è andato per il verso giusto, anche a causa proprio dell’informalità dell’albergatore e la confidenza che si è preso con me.
Viaggio molto per lavoro e frequento diversi hotel durante l’anno. A volte soggiorno in grandi strutture altre volte in piccoli alberghi. Dipende da dove vado, cosa ho voglia, come mi gira.
E, per deformazione professionale, sono sempre molto attento allo stile di chi lavora nell’accoglienza, uno dei ruoli che più dovrebbe prestare cura alle relazioni e alla comunicazione.
Molto spesso, lo dico con rammarico, rimango allibito dalla disattenzione / impreparazione di alcuni albergatori nostrani.
Mi è successo anche qui a Sirmione.
Ora ti racconto.
Alla reception dell’albergo c’era un signore di una certa età. Un simpatico nonno, diciamo così. Mi ha dato l’idea di essere il padre del gestore, forse è stato il fondatore dell’albergo che non rinuncia a lasciare quel lavoro di una vita. Chissà.
Mi ha accolto con un sorriso e in modo amichevole, tipico della struttura a conduzione famigliare. Aveva anche la battuta facile. Un po’ troppo facile.
A ogni cosa che mi diceva aggiungeva una battuta, a ogni domanda che facevo rispondeva con una spiritosaggine, in un copione evidentemente scritto in anni e anni di reception.
Ma non è questo che mi ha infastidito, per la carità, un po’ di folklore fa sorridere.
Vado in camera, mi metto comodo, disfo la valigia.
Poi infilo le scarpe da ginnastica e vado a correre. Ti confido che anche quando sono in trasferta non riesco a rinunciarci. E poi, sai che bello è correre in riva al lago di Garda in una calda sera di inizio estate? Una goduria!
Finito il giro, torno in camera sognando una bella doccia e qui l’amara sorpresa. Anzi, la fredda sorpresa.
Apro l’acqua, attendo qualche istante che si scaldi, ma non diventa più che tiepida. Giro e rigiro la leva del rubinetto ma la situazione non migliora.
Per la carità, in questi giorni ci sono 30 gradi e l’acqua non era certo gelida.
Cosa fare? Già in doccia mezzo bagnato… butto la testa sotto e via. In fondo il freddo ritempra, si dice.
Faccio una doccia lampo, rivaluto l’idea di provare gli alberghetti a conduzione famigliare del centro (che poi immergermi nell’atmosfera del posto mica è sempre necessario no?), e mi preparo per uscire a cena.
Mentre scendevo in reception non pensavo nemmeno più alla doccia, ero decisamente più interessato a scegliere in quale ristorante andare sbirciando le recensioni di TripAdvisor. Però trovo il simpatico “nonno albergatore” che gironzola all’ingresso e ne approfitto per riferirglielo: mi scusi, le devo dire che ho fatto la doccia un po’ freddina – (lo so, sono gentile).
E lui sai cosa mi risponde?
Oh, è impossibile!
Devo dire che la mia gentilezza e affabilità hanno il potere di esaurirsi abbastanza rapidamente.
Guardi è possibile sì, ho fatto la doccia fredda.
E qui l’albergatore, il professionista dell’accoglienza, supera se stesso:
Ha girato la leva del rubinetto?
E mentre lo dice mima con la mano il gesto di ruotare a destra e sinistra un’immaginaria manovella, senza mai perdere il sorriso che ai miei occhi stava assumendo la forma di una presa per i fondelli.
Sì – rispondo io – ho girato la leva del rubinetto in tutte le direzioni. Ma ho fatto comunque la doccia fredda.
Lui allora si avvicina alla porta dei bagni, mi invita a seguirlo, e apre il rubinetto del lavandino.
Ma non con l’intento di verificare quanto io avessi detto. Era più per dimostrarmi che lui aveva ragione: l’acqua calda c’è, ci mancherebbe.
Non lo seguo, lo guardo impietosito da lontano. Pensando – lo ammetto – che forse a un certo punto, arrivata una certa età, sia giusto lasciare il lavoro.
Lui si gira verso di me, rimane qualche istante a fissarmi.
E vedo un dubbio fiorire sul suo viso.
L’acqua scorre copiosa nel lavandino ma lui non la controlla nemmeno. E dice a mezza voce: a meno che…
Io prima che completi la frase comincio a provare imbarazzo per lui. Forse si vede dal mio volto.
Si avvicina a un pannello di interruttori e farfuglia qualcosa: che stanza ha?
La 122, secondo piano – rispondo io.
…ha ragione, non so come sia successo, mi spiace, toccano sempre dove non devono, devo imparare a mettere il nastro isolante così nessuno tocca, mi scusi…
Io stavo già uscendo dalla porta mentre lui parlava. Forse non è il massimo dell’educazione, lo so.
Lui mi ha seguito fantozzianamente nel vialetto e fino al cancello chiedendomi ripetutamente scusa. È stata una scena tragicomica.
Per sua fortuna non sono il tipo vendicativo che lascia severe recensioni sul web. In fondo, chi se ne frega.
Ma questo episodio mi ha ricordato ancora una volta una verità, che ha a che fare con la comunicazione e con il lavoro di tutti, anche il tuo.
Ricordi il vecchio detto: «il cliente ha sempre ragione»?
Ecco: è una cazzata, non è vero. Il cliente non ha sempre ragione.
Ma tu non puoi mai dargli del coglione!
Perché quel simpatico albergatore, mi ha dato – indirettamente – del coglione.
Perché il Primo Assioma della comunicazione di Paul Watzlawick è una verità tanto ineluttabile quanto spietata.
Anche se non mi ha detto nulla di offensivo, quel simpatico albergatore ha trasmesso il messaggio che fossi un deficiente.
Se ti dico che ho avuto un problema con la camera, non puoi rispondermi: è impossibile!
Semplicemente non puoi.
E anche se il genere umano ti ha deluso mostrandoti tutti i suoi volti più assurdi, non puoi chiedermi se ho girato la manopola dell’acqua calda…
Non puoi.
Devi ricordarti una cosa. Sì, mi rivolgo a te (anche se non lavori in un hotel).
Quando un tuo cliente ti dice qualcosa, anche se a te suona strano o addirittura impossibile, devi prima di tutto verificare quello che ti sta dicendo.
Esco dal campo alberghiero, è un discorso più generale.
I tuoi clienti, i tuoi interlocutori, sono fonti di informazioni importantissimi per te e il tuo lavoro.
E se per caso stai obiettando che a volte i clienti dicono delle cose davvero stupide, non si accorgono dell’ovvio, non capiscono ciò che è scontato… devi imparare una lezione importantissima.
In quel momento i clienti ti stanno regalando una consulenza gratuita (anzi, ti pagano pure!). Ti stanno cioè dicendo che qualcosa nel tuo processo non funziona come dovrebbe.
Magari non ci sono reali guasti o errori, ma allora è probabile che non sei stato in grado di spiegarti adeguatamente. Forse le cose che tu dai per scontate non sono così ovvie, non sono a prova di cliente.
Ma accidenti: è il cliente che ti dà i soldi per vivere.
Per questa semplice ragione devi fare le cose adatte a lui. Perfette per lui!
E se ti fa notare che una delle cose che hai preparato/pensato per lui (un pezzo del tuo processo) non funziona come dovrebbe: non lo puoi trattare da idiota, anche se pensi abbia sbagliato. Lo devi invece ringraziare!
Non in maniera “vomitevolmente” servizievole, capiamoci, ma sincera. Perché ti ha dato una consulenza preziosa per rendere il tuo lavoro migliore, a prova di cliente.
Il tuo lavoro è creare il miglior processo per il cliente, e se uno di loro ti muove un dubbio, ti fa una domanda o si lamenta di qualcosa significa che qualcosa in quel processo non ha funzionato.
C’è una falla nel sistema e lui te lo sta rivelando. E non puoi liquidarlo col pensiero che i clienti sono stupidi. Perché è il cliente che ti dà da vivere.
Devi essere ossessionato dall’offrirgli la migliore esperienza possibile. Sempre.
Il cliente non ha sempre ragione. È vero. Ma tu non puoi MAI trattarlo da coglione.
Altrimenti smetterà di darti i soldi, e farà smettere altri di darti i soldi, che faranno smettere altri di darti soldi.
Fino al giorno in cui tu, maledicendo la crisi e lamentandoti di quanto è cattivo il mondo, osserverai il tuo conto corrente diventare rosso.
Io non so che mestiere fai, se sei un imprenditore, un libero professionista, un dipendente, uno stagista, se lavori in ufficio, in produzione, in ospedale o alla Nasa… ma questo discorso, credimi, vale anche per te.
Fanne tesoro.
E se vuoi portare la tua comunicazione a livelli eccezionali, misurandoti con tutte le regole della comunicazione, allora devi andare qui.
Alla prossima.
Filippo Mora
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