Pagheresti una bottiglia di vino 900 euro?
È la domanda che mi sono posto qualche giorno fa, dopo aver concluso un’affascinante visita alla celebre cantina “Bellavista” di Erbusco, in Franciacorta.
Ci troviamo in Lombardia, per la precisione in provincia di Brescia, all’interno di un piccolo territorio collinare nei pressi del Lago di Iseo che conta oltre cento produttori di uno dei vini più apprezzati d’Italia.
Proprio in questi luoghi, esattamente sulla collina “Bellavista”, alla fine degli anni settanta l’imprenditore Vittorio Moretti decise di dar vita a una cantina. Senza forse immaginare che sarebbe diventato uno dei produttori più noti d’Italia.
Da modesto appassionato di vini e amante delle bollicine quale sono, devo dirti chela visita è stata un’esperienza splendida. Ma non è di questo che ti voglio parlare.
Perché il mio blog non parla di enogastronomia, parla di comunicazione.
E da esperto di comunicazione strategica ho trovato molti spunti interessanti nella visita alla cantina Bellavista.
Uno su tutti: il prezzo del “MERAVIGLIOSO Vittorio Moretti”, la bottiglia di più pregiata dell’intera produzione. Novecento euro circa di bollicina.
«Meraviglioso è il “millesimo dei millesimi”. In una sola cuvée la quintessenza di Bellavista, il “meglio del meglio” di Bellavista» si legge nella brochure a lui dedicato.
Si tratta certamente di un vino importante, basti pensare che «per realizzarlo sono state scelte le annate 1984, 1988, 1991, 1995, 2001 e 2002. Sei annate storiche che già avevano dato identità ad una delle Riserve più prestigiose della Franciacorta, quelle che prendono il nome di Vittorio Moretti».
Ma questo basta a renderlo uno dei vini più cari d’Italia?
E soprattutto, questo giustifica il prezzo di 900 euro?
So che gli intenditori staranno ribollendo a questa mia superficiale descrizione e allo stesso modo i profani grideranno allo scandalo pensando al folle prezzo di una bottiglia di vino.
Partiamo da un punto: quel vino esiste ed è sul mercato, ciò significa che qualcuno è stato ed è disposto a spendere quella cifra. Quindi quei soldi li vale. Questo non è in discussione.
Ma la vera domanda interessante è un’altra: come fa a costare così tanto?
Cos’ha di speciale?
L’ho chiesto, alla cantina Bellavista.
Eravamo nell’elegante shop dell’azienda dove sono esposti tutti i vini, disponibili per essere acquistati. Con noi c’erano la simpatica signora che ha fatto da guida durante la visita e l’addetto alla vendita.
Scorrendo la lista delle bottiglie mi sono soffermato sul Meraviglioso, ho visto il prezzo e quasi senza volerlo ho chiesto cos’avesse di speciale.
Il giovane responsabile dello shop, probabilmente preso alla sprovvista dall’impertinente domanda, mi ha guardato con aria stupita e un mezzo sorriso, quasi a volermi dire che queste sono domande che non hanno senso… O che non si fanno.
Ma la signora, invece, ha avuto una risposta pronta. E geniale.
«Ci vogliono più di 30 anni per farlo».
È vero. Dentro a quella bottiglia ci sono 6 annate, e la più vecchia è del 1984. Quindi ci sono voluti 35 anni per produrre quel vino.
Onestamente credo che tra tutte le risposte che poteva darmi, quella fosse in assoluto la migliore.
Ora ti spiego il perché.
Il prezzo di un vino, come di qualsiasi prodotto, può diventare stratosferico sul mercato, se ci sono le giuste condizioni.
E tra tutte le motivazioni per rendere questo possibile, la maggior parte sono “emozionali”.
Pensa a una t-shirt di una grande firma di moda o un profumo prestigioso, sul mercato vengono venduti a prezzi anche folli. Ed è per la mano che li ha creati più che per il loro valore intrinseco.
Pensa a un’opera d’arte, un quadro di un artista famoso. Per avere quel pezzo unico appeso al muro qualcuno è disposto anche a spendere milioni.
Ti sei mai chiesto perché?
Perché possedere quel quadro suscita delle emozioni.
Che possono essere le più diverse, non sto parlando solo della Sindrome di Stendhal.
Magari il milionario che l’ha comprato l’ha fatto come simbolo di potere e ricchezza. Magari l’ha preso in un’asta soffiandolo a un altro riccone che bramava di possederlo, per il solo gusto di fargli un dispetto.
O magari l’ha comprato perché quel quadro era l’opera d’arte preferita della povera madre che l’ha cresciuto tra mille difficoltà.
O magari l’ha comprato per donarlo a un museo, in modo che non finisse chiuso in un superattico di Dubai ma fosse ammirabile da chiunque.
In questo come in molti altri casi, sono le emozioni a farci decidere, a farci agire.
Il prezzo di un quadro come il prezzo di un vino è generato dalle emozioni più che dalla logica.
Qualche anno fa, in un’azienda ho conosciuto un giovane manager. A pranzo abbiamo chiacchierato un po’. Mi ha raccontato che la sua famiglia possiede una piccola enoteca, e che un giorno avrebbe mollato la carriera per continuare la tradizione di famiglia.
Tra un aneddoto e l’altro, raccontò una cosa che mi fece molto ridere.
In una nota città d’arte italiana, rifornivano di alcune etichette un bel ristorante. Questo aveva una carta dei vini ben assortita che andava da bottiglie di discreto valore ad altre di alto prezzo, anche migliaia di euro.
Un giorno il ristoratore aveva notato che vendeva regolarmente le bottiglie che si trovavano ai due estremi, ma non quelle che si trovavano nel mezzo della scala di prezzo.
Di solito i clienti italiani acquistavano le meno costose e gli stranieri le più care. Non perché gli italiani fossero tirchi o indifferenti al buon vino, al contrario: se ne intendevano abbastanza da bere bene con prezzi adeguati. Molti stranieri invece, soprattutto russi, compravano solo ed esclusivamente le bottiglie più care…
Quel ristoratore ebbe un’idea. Stravagante ma astuta. Invece di abbassare i prezzi di quelle bottiglie intermedie, in modo da farle fuori a sconto, lo aumentò. Le rese più care.
E le vendette in poco tempo. A dei russi.
Mi fece davvero sorridere quel racconto, ma non mi stupì. Perché tutti noi, tutti i giorni, cadiamo in queste trappole mentali. Trappole che la comunicazione strategica conosce molto bene. E utilizza metodicamente.
Noi tutti, esattamente come quei turisti russi, siamo spinti da leve emotive nel prendere decisioni (e spendere i nostri soldi).
Ma non amiamo ammetterlo.
E per giustificare le decisioni che prendiamo (e i soldi che spendiamo) siamo soliti utilizzare motivazioni razionali. Spiegazioni logiche che mostrino quella nostra decisione come corretta, adeguata, che la giustifichino ai nostri occhi e – soprattutto – a quelli degli altri.
Per questo la risposta che la guida della mia visita alla cantina Bellavista è stata eccezionale.
«Ci vogliono più di 30 anni per farlo» è la miglior risposta razionale possibile a quella mia domanda. È una giustificazione intelligente per motivare a sé e ad altri la spesa folle di 900 euro di bollicine.
Nella realtà chi compra quella bottiglia lo fa per soddisfare bisogni per nulla razionali: è mosso da sensazioni, da emozioni più che dalla logica. Non c’è davvero nulla di male. Ma è difficile ammetterlo.
Prova a farci caso. Osserva la realtà intorno a te, e nota tutte le volte che una persona giustifica una scelta (irrazionale) con motivazioni pseudo-logiche. Ti si aprirà un mondo.
Detto questo… eccoti un veloce insegnamento di comunicazione strategica.
Vuoi convincere qualcuno di qualcosa?
Non basarti solo su motivazioni logiche, non ti saranno sufficienti.
E non basarti solo su aspetti emozionali, non ti saranno sufficienti.
Devi costruire un mix di entrambe per essere davvero convincente.
Alla prossima
Filippo Mora
P.S. vuoi sapere come funziona la persuasione? Vuoi davvero conoscere le leve per muovere le persone? Le trovi descritte e analizzate qui.
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